1 Febbraio 2012, Roma
PERCHE' DOSSETTI TORNA D'ATTUALITA'


Intervento di Bartolo Ciccardini alla presentazione del libro:
“Quando si faceva la Costituzione”
di Telemaco Portoghesi Tuzi e di Grazia Tuzi

(1 Febbraio 2012 all’Istituto Sturzo - Roma)

 

1)
Questo libro è un diario quasi quotidiano di un evento straordinario. Nel 1945-’46 attorno alla Chiesa Nuova si formò un piccolo villaggio di immigrati. Il nucleo era bresciano, come erano in gran parte bresciani i padri della Chiesa Nuova, originari dell’Oratorio di Brescia, caro a Giovan Battista Montini. Una partigiana bresciana trovò ospitalità nella casa delle Signorine Portoghesi, si portò con sé una parlamentare di Genova e un gruppo di giovani deputati provenienti dall’Università Cattolica, dove avevano costituito, da alcuni anni, un gruppo per studiare i problemi di quella ora tragica.
Questo piccolo gruppo si sistemò in un appartamento del primo piano, che poi diventò una sorta di noviziato e di punto di incontro per la generazione successiva. Nella stessa via i padri dell’oratorio avevano aperto una mensa che era frequentata dai dirigenti della Fuci e da un gruppo di studenti dalla promettente carriera accademica.
Il libro di Telmo e di Maria Grazia Tuzi è un libro importante. Infatti, registrando il diario della vita che si svolgeva in una casa ospitale della vecchia Roma, ci restituisce l’atmosfera di un momento storico della nostra vita politica e non solo. Ci restituisce una temperatura, un modo di sentire la cultura e la politica, su cui è giusto soffermarsi.
Alcuni di questi personaggi sono persone consacrate, che avevano preso i voti religiosi, ma che non appartenevano a congregazioni organizzate, bensì a piccoli gruppi di spiritualità.
Questo cenacolo aveva la qualità di essere aperto, di coinvolgere altre persone. Si sviluppa attorno a questo gruppo l’incontro di culture diverse, di uomini che avevano fatto altri percorsi ed avevano in comune una “cultura della crisi”, che era il punto più alto del pensiero occidentale negli anni ’30. Queste personalità, costrette a stare assieme dalle condizioni ambientali di una Roma uscita dalla guerra, si comportarono con reazioni diverse. Fanfani fu eminentemente politico e la sua attitudine a programmare e a realizzare programmi lo portò presto a dissentire dalle grandi teorie. Lazzati ebbe un percorso più spirituale in cui la coscienza della crisi determinò la scelta di dedicarsi alla cultura ed alla università cattolica. La Pira trovò il modo di esprimersi nella vita di una comunità: fu sindaco di Firenze e fece di Firenze il centro del mondo che colloquiava di pace e di guerra con tutte le potenze.
Erano modi diversi per affrontare la “coscienza della crisi”.

2)
Ma colui che attirò energie e pensieri, che li fece dialogare con libertà e responsabilità, fu Dossetti. Il contributo di Dossetti si manifestò in diversi momenti ed in diversi modi: prima nella redazione della Costituzione, poi nella formazione di un collegamento fra gruppi diversi che avevano la “coscienza della crisi”, poi nell’episodio straordinario di Bologna, infine nel Concilio e, per ultimo, nel suo drammatico appello alla difesa della Costituzione.
L’Italia usciva distrutta dall’avventura fascista, in una situazione disperata, avendo superato la prova di una guerra civile, nella quale si erano trovati coinvolti tutti e dove erano state ripensate le fondamenta della convivenza civile in un nuovo “risorgimento” che non riguardava solo l’Italia ma  tutta la società umana.
Il diritto internazionale, l’equilibrio delle potenze e degli interessi che avevano fondato gli imperi coloniali, erano saltati nella tragedia della guerra totale. La fame di giustizia e l’aspirazione alla pace chiedevano un nuovo modo di pensare la società umana.
Qui si formò l’idea che l’Italia potesse avere un compito nell’ideazione di un mondo nuovo. Non solo per la sua vocazione nazionale, ma per la sua universalità, che le derivava dalla presenza della sede romana della Chiesa cattolica, e per un’aspirazione alla giustizia che si manifestava in maniera quasi religiosa nel più forte partito comunista dell’Occidente.
Felice Balbo formulò questa idea del “cronotopo”, che chiamava così in maniera filosofica, ossia un’occasione di luogo e di tempo in cui si manifestano il pensiero e la possibilità per fare un salto in avanti. Qualcosa del genere era avvenuto nella Costituzione, dove si potettero fondere in un progetto di una società, i principi universali del cattolicesimo sociale e i principi di giustizia della cultura e della tradizione socialista.
Dossetti, partendo da una sua preparazione tecnica al diritto canonico e reinterpretando i valori che aveva vissuto nella Resistenza, di cui era stato un capo “disarmato”, fu uno degli artefici più accorti nella costruzione di questo edificio. La Costituzione non è stata soltanto una costruzione giuridica ma è stata soprattutto l’esplorazione di un programma di convivenza fra mondi diversi.
Per una stranezza della storia, l’Italia che era uscita dalla tragedia della guerra si era trovata di nuovo divisa: quelli che insieme avevano combattuto con la speranza di rinnovare il mondo, si trovarono contrapposti nella gestione dell’esistente. Un Paese che aveva avuto un’Unità difficile e che aveva perso il significato della sua identità, si trovò diviso fra due mondi: il nostro muro di Berlino correva in ogni città, in ogni paese, in ogni famiglia. Pure le due forze che si contendevano la scelta del Paese, fra occidente ed oriente, salvaguardarono l’unità contrapponendosi, come avviene nell’arco degli etruschi. Subito dopo la Costituzione, Dossetti si poneva il problema di un rinnovamento profondo dello Stato democratico, che fosse per la sua novità capace di coinvolgere anche gli oppositori.
Era questa la ragione della sua opposizione al Patto Atlantico, al congelamento delle ragioni di una divisione radicale.
Ma presto si rese conto che la DC impegnata nella difficile gestione del contingente, non avrebbe potuto svolgere questo compito. Pensò di trovare un’altra strada da percorrere attraverso il rinnovamento della vita cattolica come presupposto di una grande “renovatio imperii”.

3)
Mentre Dossetti segue il suo percorso avviene un fatto nuovo e contraddittorio. Il Cardinale Lercaro gli chiede di presentarsi candidato a Bologna. Ricordo questo episodio perché segna una svolta nel comportamento di Dossetti. Dossetti si presenta in modo nuovo, da cattolico indipendente non facente parte del partito, chiede di essere confermato con un suo programma da un’elezione primaria. Propone un programma con una concezione tutta nuova del Comune. Il partito comunista non capisce la novità di questa proposta e reagisce in modo inadeguato. Togliatti, che pur aveva avuto una certa attitudine nel proporre un diverso rapporto fra comunisti e cattolici, attacca Dossetti secondo il vecchio schema della prevaricazione temporalistica e clericale. Dozza risponde in modo rozzo al concetto di austerità che Dossetti aveva in qualche modo registrato.
Io ho assistito alla reazione di Dossetti, che fu molto dura, ed alla crisi che egli stesso ebbe, perchè temeva di essere stato distruttivo nei confronti di un rapporto che egli voleva mantenere in termini creativi. Ma per il momento qualcosa si ruppe. Ci volle del tempo perché si recuperasse la stima e la fiducia dei comunisti per la proposta di Dossetti. Ma ormai Dossetti seguiva la sua strada e si dedicava, assieme al Cardinal Lercaro, alla grande impresa di rinnovamento dello spirito ecclesiale nel Concilio.
L’appartamento di Via della Chiesa Nuova 14 divenne il luogo dove si concertarono strategie e contenuti che troveranno una larga eco nel mondo cattolico.

4)
De Gasperi, impegnato nella sua impresa di salvare il Paese da una sciagura incombente, non era in grado di apprezzare o capire la forte tensione della cultura della crisi che animava questi gruppi.
Anche lui si trovò, diffidente, in una cena della comunità. Ammirava Dossetti, ma non lo capiva. Scrive Pombeni: “De Gasperi in una sua nota privata del 1950 definì la “mentalità dossettiana” come “munita di allucinazioni e presunte divinazioni suggestive, oltre che di un calore di sentimento e di una abilità di espressione e di manovra non comune, di fronte alla quale mancano nella direzione del Partito e dei Gruppi, uomini forti e altrettanto suggestivi”.
Le allucinazioni e le presunte divinazioni suggestive altro non erano che la punta di iceberg della “cultura della crisi”, che era maturata anche nel mondo cattolico, per la esperienza tragica della ferocia dei totalitarismi, della guerra totale, della scioà e dell’uso della bomba atomica. Questo giudizio duro non impedirà a De Gasperi di consegnare il Partito ai superstiti dell’esperienza dossettiana, traghettati da Mariano Rumor, sotto l’accigliata leadership di Fanfani.
Paolo Prodi nella prefazione analizza questa caratteristica dell’incontro nella “cultura della crisi”, sia con il contributo di Felice Balbo e poi con quello di Augusto Del Noce, così ben narrato dal libro di Beppe Chiarante, e scrive: “Nonostante i richiami di continuità che Dossetti fa rispetto alla sua esperienza politica e spirituale e alle sue diagnosi date sulla crisi, mi sembra che la novità del suo pensiero sia proprio quella del giudizio di catastroficità della situazione mondiale, che si traduceva in un giudizio sulla criticità del momento ecclesiale a causa del prevalere nel cristianesimo di un modo razionalistico ed attivistico, compromesso con la politica, semipelagiano sul piano teologico di vivere la fede”.

5)
Il libro di Telmo Tuzi fa emergere, dalla cronaca quotidiana, dei giudizi che sono importanti per definire la personalità dei protagonisti. Prezioso è il giudizio di La Pira su Dossetti riportato da Fioretta Mazzei: “E che dolore fu più tardi quando Dossetti lasciò la politica! La Pira se ne consolò molto male, ci tornò su molte volte; si rasserenò soltanto quando, già prete, il Cardinal Lercaro ne fece il suo primo aiuto, quando partecipò al Concilio e quando La Pira, in cuor suo, incominciò a pensare che in fin dei conti un giorno avrebbe anche potuto essere Papa!”. La Pira dice: “Perché Dossetti è un politico, la sua missione è di politico, cioè uno con una visione universale con un compito di guida, ovunque sia non può venire meno a questa vocazione”.
Ed il giudizio illuminante di Dossetti su Lazzati: “Certo Lazzati non si faceva illusioni, nei suoi ultimi anni, su ciò che si stava preparando per la cristianità italiana. Chi ha potuto avvicinarlo allora, avvertiva che la coscienza esprimeva un giudizio duro, lucido su ciò che stava accadendo per il nostro Paese, appunto quello a cui stiamo assistendo ora dopo le ultime elezioni: non tanto lo sbandamento elettorale dei cattolici, ma le sue cause profonde, oltre agli scandali finanziari ed oltre le collusioni fra mafia e potere politico, soprattutto l’incapacità di “pensare politicamente”, la mancanza di grandi punti di riferimento e l’esaurimento intrinseco di tutta una cultura politica e di un’etica conseguente”.
Quando Dossetti decide di uscire ancora una volta fuori dal suo eremo per chiamare e dare l’allarme in difesa della Costituzione, si giustifica con un importante richiamo alla storia della prima Chiesa: “Se posso fare un paragone, certo sproporzionato, penserei all’esempio degli antichi Padri del deserto che ritornavano in città in occasioni di epidemie, di invasioni o di altre calamità pubbliche”.
L’importante studio di Santo Mazzarino (“Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana”) ci spiega questo compito non abbastanza conosciuto dei Padri del deserto. Nelle grandi metropoli medio-orientali dell’impero bizantino, quando si era esaurita la vitalità dell’impero e quando le grandi città occidentali erano già state disperse dalle invasioni barbariche, l’amministrazione della giustizia e l’arbitrato fra i grandi interessi era esercitato da un notabile. Erano i primi sintomi del feudalesimo, della polverizzazione del potere statale in piccoli poteri personali. In caso di grandi pericoli sociali, gli interessi organizzati delle metropoli chiamavano ed eleggevano  arbitro della giustizia e dei conflitti cittadini un Padre del deserto. Simeone lo Stilita né è l’esempio più pittoresco: governava Antiochia, mantenendo una separazione dalla vita comune della città, isolato nella sua colonna, che era la continuazione del suo rifugio nel deserto.
È interessante che Giuseppe Dossetti, che incomincia il suo nuovo cammino di monaco del deserto a Gerico, ricorra a questo esempio storico poco conosciuto per spiegare la sua uscita dall’eremo per difendere la Costituzione Italiana. Del resto, La Pira, quando dirigeva le preghiere comunitarie nella sua piccola chiesa fiorentina, invitava a dire un Ave Maria per Dossetti: “Perché è un uomo singolare”.
È limitativo interpretare questo appello come una difesa della Costituzione scritta. C’è anche questo, ma di fronte al tentativo di abolire la democrazia partecipata che ci è stato nei primi anni del secolo, c’è soprattutto un modo di intendere “la cultura della crisi” che si ripropone.

6)
La vittoria del capitalismo e la successiva globalizzazione dei mercati ha portato alla possibilità che i grandi capitali accumulati nel mondo finanziario imponessero una sorta di vassallaggio alle economie basate sul lavoro. Questa mentalità di nuovi corsari che, moltiplicando con la finanza creativa la forza di impatto del loro capitale impongono una forma nuova e potentissima di usura sulla economia dei popoli e sul lavoro delle popolazioni, altro non è che un’edizione forte e nuova della guerra. Una guerra mondiale, dei ricchi contro i poveri, dell’usura contro il lavoro. È la manifestazione ultima della crisi mondiale che molti ritenevano superata.
È a questo che si riferisce Dossetti quando parla di difesa dei valori della Costituzione ricordando che la Costituzione fu un documento, forse unico, per organizzare una società che voleva liberarsi dalla guerra e dal dominio. La coscienza di un’intesa fra tradizioni diverse per aprire uno spazio di “coscienza della crisi” rimaneva un punto di riferimento per affrontare la nuova crisi mondiale che si stava preparando.
Ho voluto a grandi linee tratteggiare la profondità dei temi che stanno nello sfondo di questo libro, che non ha l’ambizione di dare ad essi una soluzione, ma che, attraverso la cronaca quotidiana, la descrizione dei sentimenti, delle vocazioni personali, ci descrive l’atmosfera e la temperatura di un momento molto particolare. Questa atmosfera e questa temperatura è un’assoluta novità, anche per coloro che l’hanno vissuta e la ricordano. Un estraneo potrebbe immaginare la disciplina di un ordine religioso o la regola di un’impresa di volontari o l’atteggiamento quasi militare di un’aristocrazia dedicata ad una milizia. Niente di tutto questo, ma solo la dolce e allegra convivialità di persone comuni, lietamente felici di stare insieme.
La “ospitalità” della Signorina Laura, “l’accoglienza” intesa nel senso antico delle opere di misericordia, è piena di valori profondi, che il libro ci restituisce. Ora che le nubi della grande crisi, che ritenevamo allontanata, si stanno assiepando all’orizzonte di un mondo attanagliato da nuove oppressioni e da nuove ingiustizie, non sentiamo attorno a noi, in special modo fra i cristiani, quella sete di giustizia e quella sofferenza per il pericolo che vi era allora e che gli autori ci hanno restituito in questo libro. E di questo li ringraziamo.

Bartolo Ciccardini